Il tribunale ha pronunciato la seguente ordinanza sulle richieste formulate rispettivamente dal p.m., cui si sono associate la difesa dell'imputato e del responsabile devile, di assoluzione trattandosi di fatto non punibile ex art. 68 Cost., e dal difensore di parte civile di sollevare conflitto di attribuzione con la Camera dei deputati avanti alla Corte costituzionale o, in subordine, di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 legge n. 140 del 2003, in relazione agli artt. 3, 24, 102, 111 Cost.; Premesso che l'on. Vittorio Sgarbi e' imputato del delitto di cui agli artt. 595 c.p., 21 legge n. 47 del 1948, 30 comma 5 legge n. 223 del 1990, perche', intervenendo nella trasmissione televisiva Sgarbi quotidiani, andata in onda sull'emittente televisiva «Canale 5» in data 17 ottobre 1996, alle ore 13,30, offendeva la reputazione dell'avv. Giuseppe Lucibello di Milano, affermando, fra l'altro, che questi si sarebbe reso responsabile di abusi, poiche' quale difensore di un indagato arrestato ed essendo egli stesso indagato per reati connessi, aveva la liberta', grazie all'amicizia con il dott. Di Pietro, di incontrare liberamente l'indagato in carcere, di modo che aveva la possibilita' di «incontrare» Di Pietro e quindi dire a Di Pietro quello che aveva detto Pacini Battaglia e quando Pacini ha detto qualcosa che lo mette in discussione, di cambiare la versione «sbancato, stancato»; con ordinanza del 20 novembre 2003, questo giudice ha trasmesso gli atti alla Camera dei deputati, a norma dell'art. 3 comma 4 legge 20 giugno 2003, n. 140; nella seduta del 4 febbraio 2004, la Camera dei deputati ha deliberato nel senso che i fatti per i quali e' in corso il presente procedimento penale a carico dell'on. Sgarbi concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68 comma 1 Cost. O s s e r v a In primo luogo, il giudice ritiene che al fatto per cui e' processo non sia applicabile l'art. 68 comma 1 Cost., e che quindi sia viziata la delibera assunta dalla Camera dei deputati in data 4 febbraio 2003. Invero come si e' gia' affermato nell'ordinanza emessa in data 20 novembre 2003, da intendersi qui richiamata, l'art. 3 legge n. 140 del 2003 non ha innovato la portata precettiva dell'art. 68 Cost., avendo solo specificato che l'insindacabilita' della funzione parlamentare copre non solo l'attivita' di parlamentare intra moenia (presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini dei giorno, ecc.) ma anche «ogni altra attivita' di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento». Non e' percio' venuta meno, quale requisito imprescindibile per l'operativita' della scriminante in esame, la connessione delle dichiarazioni alla funzione di parlamentare; cadono percio' al di fuori del perimetro segnato dall'art. 3 comma 1 legge n. 140 del 2003 - e quindi dall'art. 68, primo comma Cost. - le dichiarazioni rese intra moenia che non siano divulgative di una scelta politica espressa in atti funzionali, come si e' verificato nella specie, avendo l'imputato, quale conduttore di una trasmissione televisiva, espresso giudizi lesivi dell'onore altrui, senza alcun collegamento con l'esercizio della funzione di parlamentare. Nella stessa relazione della giunta per la autorizzazione presentata dall'on. Kessler alla Presidenza il 10 novembre 2003, si legge che «non e' emerso che in atti parlamentari formali il deputato Sgarbi abbia mai usato espressioni di analogo contenuto sull'avvocato Lucibello»; la medesima conclusione e' ribadita dall'on. Kessler nella seduta del 4 novembre 2004 (p. 12 del resoconto stenografico): «in nessun atto parlamentare, precedente o successivo ai fatti, e' stato riscontrato che il deputato Sgarbi abbia mai adoperato espressioni di analogo contenuto o espresso critiche di qualsiasi tipo nei riguardi dell'avvocato Lucibello. Non e' stato riscontrato, e nemmeno l'onorevole Sgarbi ci ha potuto aiutare in questo, alcun aggancio fra queste critiche che l'onorevole Sgarbi ha espresso quale conduttore della nota trasmissione televisiva Sgarbi quotidiani e l'attivita' parlamentare dell'onorevole Sgarbi medesimo. Non solo: la giunta ha anche ritenuto di non intravedere alcun contenuto politico nelle suddette affermazioni dell'onorevole Sgarbi». L'interpretazione qui accolta dell'art. 3 legge n. 140 del 2003 e' in linea con l'indirizzo della Corte costituzionale, ribadito dalla sentenza n. 508 del 2002, in cui pure il conflitto era stato sollevato nell'ambito di un procedimento penale ad oggetto frasi ritenute diffamatorie, pronunciate dall'on. Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva Sgarbi quotidiani. In quella decisione, la Corte ha confutato la motivazione con la quale la giunta per le autorizzazioni a procedere aveva avanzato la proposta, poi accolta dall'Assemblea con la deliberazione impugnata, di considerare le dichiarazioni del deputato Sgarbi alla stregua di «opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni», riaffermando il principio secondo cui «altra e' la liberta' di critica della quale tutti sono titolari, altro e' la prerogativa che la Costituzione, onde preservare una sfera di liberta' ed autonomia delle Camere, riserva ai parlamentari nell'esercizio delle loro funzioni. Se privata del suo specifico orientamento finalistico, tale prerogativa si trasformerebbe in un inaccettabile privilegio personale a favore dei membri delle Camere, le cui manifestazioni verrebbero ad essere sempre affrancate dalle comuni regole dello Stato di diritto». Quest'interpretazione e' stata recentemente ribadita dalla sentenza n. 120 del 2004, in cui la Corte ha dichiarato infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 legge 20 giugno 2003, n. 140, sollevata per contrasto con gli artt. 68 comma 1, 24 comma 1 e 3 Cost. Dopo aver richiamato la propria giurisprudenza, avallata dalle decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo del 30 gennaio 2003 sui ricorsi n. 40877/98 e n. 45649/99, la Corte costituzionale ha precisato che, «nonostante le evoluzioni subite, nel tempo, nella giurisprudenza di questa Corte, e' enucleabile un principio, che e' possibile oggi individuare come limite estremo della prerogativa dell'insindacabilita', e con cio' stesso delle virtualita' interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68: questa non puo' mai trasformarsi in un privilegio personale, quale sarebbe una immunita' dalla giurisdizione conseguente alla mera "qualita'" di parlamentare». Ne segue che le attivita' coperte da immunita', elencate nell'art. 3 comma 1 legge n. 140 del 2003, non rappresentano«un'ipotesi di indebito allargamento della garanzia dell'insindacabilita' apprestata dalla norma costituzionale, proprio perche' esse, anche se non manifestate in atti "tipizzati", debbono comunque, secondo la previsione legislativa e in conformita' con il dettato costituzionale, risultare in connessione con l'esercizio di funzioni parlamentari». In particolare, ai fini dell'insindacabilita', cio' che rileva «e' dunque il collegamento necessario con le "funzioni" del Parlamento, cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto si iscrive, a prescindere dal suo contenuto comunicativo, che puo' essere il piu' vario, ma che in ogni caso deve essere tale da rappresentare esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle Camere, anche se attuato in forma "innominata" sul piano regolamentare. Sotto questo profilo non c'e' percio' una sorta di automatica equivalenza tra l'atto non previsto dai regolamenti parlamentari e l'atto estraneo alla funzione parlamentare, giacche', come gia' detto, deve essere accertato in concreto se esista un nesso che permetta di identificare l'atto in questione come "espressione di attivita' parlamentare"». Se, quindi, ad avviso del tribunale, la delibera della Camera risulta viziata, in quanto e' stata fatta un'erronea applicazione dell'art. 68 comma 1 Cost., dal momento che le frasi pronunciate dall'on. Sgarbi non sono, come detto, «espressione di attivita' parlamentare», si tratta di verificare se sia precluso o meno al tribunale la possibilita' di sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale. Invero, a differenza dell'art. 2 comma 8 d.l. n. 555 del 1996, l'art. 3 legge n. 140 del 2003 non prevede che il giudice dopo la pronuncia della Camera che ritenga illegittima, possa sollevare conflitto di attribuzioni. Si tratta tuttavia di una circostanza non decisiva, dal momento che il potere di sollevare il conflitto deriva direttamente dagli artt. 134 Cost. e 37 legge 1° marzo 1953, n. 87, secondo cui «il conflitto tra poteri dello Stato e' risoluto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali». Nel caso di specie, sussistono le condizioni richieste dall'art. 37, dal momento che questo tribunale e' competente a dichiarare definitivamente, per il procedimento del quale e' investito, la volonta' del potere cui appartiene, in ragione dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali svolte in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, e la Camera dei deputati, che ha deliberato la dichiarazione di insindacabilita' delle opinioni espresse dall'on. Sgarbi, e' legittimata ad essere parte del conflitto, essendo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere che rappresenta (cfr., ex plurimis, Corte cost. 283/2003, 282/2003, 272/2003, 252/2003, 248/2003).